IL Nobel per la Pace 2011 è stato assegnato a tre donne: a Ellen Johnson Sirleaf, presidente della Liberia, alla connazionale Leymah Gbowee e alla yemenita Tawakkol Barman. Un premio dato alle donne che lottano per la pace e per i diritti umani calpestati soprattutto in Asia e in Africa. « È un Nobel per le donne in generale ma in particolare per le donne in Africa», ha detto, Leymah Gbowee, soprannominata “la guerriera della pace”. Tre donne, attiviste dei movimenti per la democrazia, premiate, «per la loro lorotta non violenta per la sicurezza delle donne e il loro diritto alla piena partecipazione al processo di costruzione della pace», ha scritto la Commissione nella motivazione del premio. Il presidente Thorbjoern Jagland ha detto ai giornalisti « non possiamo raggiungere la democrazia e una pace durevole nel mondo a meno che le donne non ottengano le stesse opportunità degli uomini di influenzare lo sviluppo a tutti i livelli della società». Il Nobel per la Pace al femminile è un premio che soddisfa tutti. Anche quelli che fino a qualche giorno fa speravano ancora che la Primavera araba avrebbe ispirato il premio. Idea, questa, suggerita dalle parole del presidente del comitato Jagland, che alcuni giorni prima, a chi ipotizzava il premio ai leader della Pri-mavera araba, aveva risposto: «è abbastanza ovvio. Guardate il mondo oggi. Quali sono le forze più grandi che stanno spingendo il mondo nella giusta direzione?». Il messaggio della Commissione, in realtà, è stato addirittura più forte, perché ha voluto dare un segno, ovvero conferire il premio a quella parte del mondo dove il vento della primavera araba è ancora debole. E questo sostegno vuole riportare l’attenzione a tutti quei paesi dove non esistono i diritti fondamentali dell’uomo. Donne coraggiose premiate, come Tawakkol Karman, 32 anni, esattamente come quelli del potere del presidente yemenita Ali Abdallah Saleh, attivista yemenita per i diritti umani, divenuta in poco tempo la leader della protesta femminile contro il regime. Karman, giornalista, fondatrice dell’associazione «Giornaliste senza catene», ha tre figli e tanto coraggio: la sua è una lotta contro i pregiudizi di casta maschile dello Yemen. La giornalista ha infranto il proprio tabù nel 2004, mentre partecipava a un meeting per i diritti umani: si è tolta il velo e non lo ha mai più rimesso, chiedendo alle sue compagne di fare altrettanto. Ed è anche militante nel partito islamico e conservatore Al Islah, primo gruppo di opposizione del governo guidato dal presidente Saleh, appena tornato in patria dopo il ricovero seguito ad un fallito attentato. Da allora la coraggiosa reporter ha fatto molta strada: ha iniziato una pericolosa collaborazione con il Washington Post e con Facebook. Sulla sua pagina di Fb, ha pubblicato le foto di Martin Luther King, Mahatma Gandhi e Nelson Mandela. Nel gennaio di quest’anno la giornalista era stata arrestata dalle autorità yemenite, costrette poi a rilasciarla sotto la pressione delle manifestazioni in suo sostegno, che hanno portato in strada migliaia di persone. Anche nello Yemen, peraltro, la conta delle vittime della repressione di Saleh è spaventosa: l’ultimo bilancio di Amnesty International parla di 1480 morti. Ma lo sguardo coraggioso delle donne yemenite si rivolge ad est: «Guardate all’Egitto, vinceremo ». È con questo slogan, infatti, che Karman ha guidato la protesta nello Yemen. Una rivolta che lì, in un paese dove le donne sono considerate cittadini di serie B, ha assunto grazie a lei anche un significato di rivincita femminile, oltre che di richiesta di riforme democratiche. «Dopo l’Egitto, tutti i dittatori della regione cadranno, e il primo sarà Ali Abdullah Saleh – diceva la Karman quando nel suo paese è esplosa la rivolta – L’Egitto ci fa da modello, perché Mubarak era il dittatore più forte nella regione. Ora crediamo di poter fare la rivoluzione anche qui». La sua lotta per i diritti femminili è d’altro canto molto difficile in uno Yemen rimasto nel più antico passato islamico. La società yemenita è fortemente misogina: la maggior parte delle donne non è libera di sposare chi vuole. Uomini di una certa età possono ottenere in spose delle bambine a scapito della legge yemenita, ma se per i primi viene imposto – raramente – il divorzio, per le giovani viene spesso introdotta la lapidazione. Ecco perché il Nobel alla Karman potrebbe davvero scuotere le coscienze di molti, costringendoli ad occuparsi anche di realtà scomode.