“Houston, Tranquillity base here. Eagle is landed”. Parole che hanno fatto la storia, quelle pronunciate quarant’anni fa da un emozionato Neil Armstrong, uno dei tre astronauti protagonisti della missione Apollo 11, durante la fase dell’atterraggio sulla crosta lunare. Era il 20 luglio del 1969 quando “the Eagle”, l’Aquila, così come era stato ribattezzato il modulo lunare Lem, si staccò dalla nave madre Columbia (a bordo della quale restò, per tutta la durata della missione, Michael Collins) permettendo l’allunaggio e la riuscita della missione lunare. Sbarcarono Neil Armstrong e Edwin “Buzz” Aldrin. Il volo era cominciato 5 giorni prima dal Kennedy Space Center di Cape Canaveral, in Florida: il controllo operativo della missione, invece, fu effettuato dalla base di Houston, in Texas. Sono passati quarant’anni da quella celebre passeggiata di due ore e mezza, nella parte meridionale del Mare della Tranquillità (chiamato così perché anticamente si credeva che sulla Luna ci fossero gli oceani) durante la quale Armstrong e Aldrin raccolsero e catalogarono decine di chili di rocce lunari, esplorarono il territorio lunare consentito dalla riserva di ossigeno (che si ridusse pericolosamente, mettendo in pericolo la missione stessa, a causa della telefonata inaspettata del Presidente Nixon – 20 minuti fuori programma nei quali il Presidente disse, tra l’altro, “questa è la più incredibile telefonata mai fatta….”), piantarono la bandiera americana, deposero una targa, We came in peace, per ogni eventuale incontro “non umano”, e una medaglia in onore di Yuri Gagarin, il primo uomo nello spazio. Fu uno spettacolo mediatico senza precedenti, esibito al mondo, a 600 milioni di spettatori increduli e col fiato sospeso in quello che è stato il primo grande reality show della storia della televisione. Anche se, ancora oggi, c’è chi sospetta che l’intera avventura fu solo una straordinaria finzione cinematografica con la firma di Stanley Kubrick, che proprio in quei mesi stava ultimando il suo capolavoro, “2001, Odissea nello spazio”. Venti milioni di italiani videro i balzi da canguro senza gravità di Armstrong, accompagnati dalla voce commossa di Tito Stagno, che da Roma commentò l’avventura lunare: “Hanno toccato!”, insieme allo storico corrispondente della Rai dagli Usa, Ruggero Orlando (immortale il suo saluto “Qui Nuova York, vi parla Ruggero Orlando”): dalla base di Cape Kennedy, invece, seguì la diretta Oriana Fallaci, che, dalle pagine de “L’Europeo”, trasformò la sua esperienza in uno dei più bei reportage della storia del giornalismo. Furono momenti leggendari per chi c’era, e proiettarono quell’emozione nell’immaginario collettivo di tutti noi che, invece, non eravamo ancora nati. ”Questo è un piccolo passo per l’uomo, ma un passo gigantesco per l’umanità”; fu così che Armstrong commentò quegli attimi che resero veramente possibile l’inizio dell’evoluzione tecnologica, non solo per i progetti spaziali, ma per tutte le scoperte e gli studi successivi che da quella passeggiata presero il via, apportando i benefici che oggi apprezziamo nella vita quotidiana, dal computer alla lavatrice, fino ai sofisticati sistemi di sicurezza: tutto, o quasi, cominciò con quella conquista. Perché la corsa alla luna fu il risultato della politica della Guerra Fredda, e le continue sfide tra USA e URSS per le esplorazioni planetarie portarono al lancio del primo satellite artificiale, lo Sputnik, nel 1957, e il primo uomo nello spazio, il russo Yuri Gagarin, che nel 1961 orbitò intorno alla Terra per 92 minuti. La missione Apollo 11 fu resa possibile grazie alle straordinarie conoscenze tecnologiche che lo scienziato tedesco, e hitleriano, Werner Von Braun, il “padre” delle terribili V2, mise a disposizione, dopo la Seconda Guerra Mondiale, della comunità aerospaziale americana: una missione che realizzò il sogno di J. F. Kennedy, che al suo omologo Nikita Kruscev aveva detto: “We choose to go to the Moon” e di tanti uomini prima di lui, che le avventure lunari le avevano solo immaginate, nei racconti fantastici di Giulio Verne, nelle odi di Giacomo Leopardi nel “Pastore errante dell’Asia” o negli inni di Shakespeare in “Romeo e Giulietta”. Un sogno che ha sempre accompagnato e ispirato l’uomo, se è vero, come disse Ray Bradbury, uno dei più grandi scrittori di fantascienza del secolo scorso, ad Oriana Fallaci, che in un’intervista gli chiedeva cosa spingesse gli astronauti a rischiare la vita. Sulla Luna si va perché: ”… vogliamo vedere la nostra immagine ripetuta e immortale. Il Sole può spegnersi e la Terra puomorire, e anche se noi non saremo a lungo terrestri, la conoscenza di ciò che fummo e il dono della vita continuerà in eterno!”.